Ne abbiamo avuto l’esperienza ma ci è sfuggito il significato
E avvicinarci al significato ci restituisce l’esperienza
In una forma differente, al di là di ogni significato.
(T.E. Eliott, da Quattro Quartetti)

 

Phi.mind 15. Case study relativo alla confusione tra sensazioni e coscienza: il benessere è lo scopo della meditazione o un suo effetto collaterale?

Confondere l’atto di star-essendo-coscienti e senzienti con i suoi contenuti qualitativi può avere conseguenze importanti. Ne riportiamo un esempio che ci pare paradigmatico.

MeditazioneLa ricerca scientifica è da anni dedita a studiare gli effetti della meditazione, disciplina psicofisica diffusa in diverse culture e periodi. Come vedremo a breve, gran parte della ricerca si concentra sui qualia del benessere, ‘l’effetto che fa star bene’ anche se il tema primario di queste antiche discipline non è ‘l’effetto che fanno’ ma la stessa coscienza senziente e il suo significato ultimo.

Certamente negli ultimi vent’anni la meditazione è stata al centro dell’interesse di molti neuroscienziati. Si sono indagati gli effetti che sperimentano i meditanti delle tradizioni più codificate e con percorsi formativi precisi, quali il Buddhismo Tibetano, il Vipassana, lo Zen, ma anche la preghiera cristiana e forme moderne come la Mindfullness.  La meditazione è studiata per i suoi effetti nel brevissimo termine (attenzione focalizzata, controllo ed esame di micro-istanti di esperienza) o nel medio-lungo termine (gestione delle emozioni, modificazione degli stati mentali, neuroplasticità).

Gli studi sugli effetti nel breve termine della meditazione hanno il carattere della ricerca pura e sono legati a domande come ‘cosa è un istante di coscienza? È  localizzabile nel sistema nervoso centrale? O nelle frequenze di attivazione neurali?’; ‘come si può evidenziare?’; ‘è possibile un atto libero, o è sempre pre-determinato dal cervello?’.  Solo a livello esemplificativo, alcuni autori che hanno lavorato su ‘momenti di esperienza’ specifici sono Benjamin Libet1, Francisco Varela2 e di recente Joydeep Bhattacharya e Bhavin Seth3. Anche se non sempre utilizzata in queste ricerche, la meditazione può donare estrema precisione perché addestra il soggetto sperimentale a generare e stabilizzare campi di attenzione dettagliati. Una specifica scuola di studi sulla coscienza denominata Neurofenomenologia si dedica a coltivare questi spazi esaminati per indagare fenomeni mentali altrimenti troppo rapidi, o nascosti ed elusivi. Come vedremo, questa scuola evidenzia che i soggetti addestrati sono in grado di fornire ai neuroscienziati descrizioni in prima persona molto più attendibili e replicabili, di riconoscere stati specifici e di accoppiarli con precisione ai dati del brain imaging che in parallelo vengono registrati.

Questo stile di ricerca è – secondo chi scrive – più fedele alla natura originale della meditazione che è lo studio sulla coscienza singolare in atto, o situata, e dei significati che essa dischiude. In particolare l’approccio in prima persona con strumenti meditativi ha permesso a diversi studiosi di indagare il sentire sorgivo, non mediato e non determinato che deve ancora fissarsi in specifici qualia: a questa analisi dedicheremo attenzione nelle prossime puntate di phi.mind.

Ma è l’altro indirizzo di ricerca – quello sugli stati di benessere –  che rappresenta il main stream delle ricerche sugli effetti della meditazione, ben più diffuse e divulgate. Sono studi che non si occupano della coscienza in atto che sente, ma delle sensazioni ‘già sentite’ che essa può accogliere.

Indubbiamente si tratta di sensazioni e modificazioni preziose per la terapia, ben rilevabili a livello fisiologico:  si è dimostrato che l’addestramento meditativo è capace di indurre fenomeni di neuroplasticità (rimodellamento di aree cerebrali) neurogenesi (produzione di nuove cellule neurali) ed riattivazione della modulazione neuroendocrina (che governa i meccanismi dello stress e del controllo emotivo). Richard Davidson4 in campo sperimentale e Daniel  Siegel5 in campo teorico e applicativo, hanno portato una grande quantità di dati su questo tipo di effetti.  In particolare, quando si medita:

–   A livello metabolico, diminuisce il consumo di ossigeno e la produzione di acido lattico (che è alto negli stati di ansia).

–   A livello cerebrale, si riduce l’attività perché si spengono i circuiti irrilevanti e si riorganizzano le funzioni; aumentano le onde alfa, gamma e theta (queste ultime particolarmente importanti perchè mettono ‘in fase’ le aree lontane – anche su diversi emisferi – e le sincronizzano).

–   A livello neuroendocrino, aumenta la serotonina, la melatonina, la DHEA (regolatore del sistema immunitario e dell’umore) e la produzione di peptidi oppioidi come le endorfine.

Vi sono studi6 che  hanno mostrato come un addestramento meditativo anche breve porti effetti duraturi modificando  temperamento e umore di base, portando a maggiore benessere, vigore ed equilibrio emotivo: e come questi effetti siano legati ad una potente attivazione della corteccia frontale sinistra che modula e controlla le intense emozioni scatenate dalla amigdala (parte del più antico cervello limbico). E contemporaneamente, negli stessi soggetti, l’addestramento meditativo (in questo caso era quello denominato Mindfulness nella versione MBSR) ha la capacità di incrementare la risposta immunitaria.

A livello psicologico l’effetto della pratica meditativa è quello di portare a un rapporto semplificato e distaccato con i fatti, liberandoli dalle pesanti interpretazioni mentali che li trasformano in sofferenza. Attraverso una pratica regolare la meditazione produce un cambiamento nella relazione con gli stati di sofferenza, e lo fa senza occuparsi dei contenuti mentali specifici e senza analizzare sogni, ricordi o esperienze pregresse. Semplicemente si osserva istante per istante ciò che accade nei propri stati interni, senza giudicarli e senza bisogno di cambiarli. Ci si mantiene ancorati a respiro e sensazioni corporee (e, a livelli più sottili, a intenzionalità e soggettività) per disattivare gli automatismi mentali e intraprendere una nuova relazione, di-staccata e de-centrata, con pensieri ed emozioni.

Gli studi scientifici condotti su meditanti sottoposti a percorsi formali e ripetibili hanno mostrato in modo inequivocabile l’effetto positivo della meditazione in stati di sofferenza psicologica (ad esempio per stati di ansia, ossessioni, disturbi alimentari, controllo del dolore, prevenzione delle ricadute depressive, etc.) e nell’incremento dello stato generale di benessere.

Vanno quindi riconosciuti diversi meriti alle ricerche che finalizzano la meditazione al benessere psicofisico:

1) dal punto di vista terapeutico, gli studi sul benessere permettono di verificare scientificamente la possibilità di ‘terapie cognitive’ per chi soffre, terapie che vanno a sostenere e talvolta a sostituire le terapie farmacologiche con grande efficacia;

2) dal punto di vista epistemologico, le ricerche sugli stati meditativi tornano a dar valore scientifico ai dati d’esperienza, che possono così essere considerati non più solo fantasie soggettive ma dati condivisibili da più soggetti in modo affidabile;

3) dal punto di vista culturale e divulgativo, questi effetti permettono di far conoscere la meditazione e a riflettere su di essa, in un’epoca in cui l’interiorità sembra destinata a valere solo come individualità vaga e non come quel continente di enormi conoscenze e risorse che è.

Parimenti va però sottolineato che la meditazione non è in sé uno strumento di psicoterapia né una tecnica neurologica per rinforzare la neuroplasticità delle reti di neuroni cerebrali. Gli effetti terapeutici e che migliorano la qualità della vita dei meditanti sono di fatto interessanti effetti collaterali, o meglio effetti preliminari di discipline destinate a profonde e autentiche ricerche esistenziali.

Vi è infatti una profonda differenza – ma anche complementarità –  tra la meditazione (che opera sul piano dell’esperienza diretta di  star-sentendo e star-sapendo) e la scienza del benessere (che opera sul piano dell’esperienza del ‘già sentito’: qualia, stati, umori, sensazioni, meccanismi neuro-endocrino-immunitari). Come abbiamo visto, questa differenza rischia di appiattirsi quando coscienza e qualia tendono a coincidere.

La meditazione, pur generando stati particolarmente confortevoli e quieti, non li considera come elementi frammentati perché non vede la coscienza come un insieme di meccanismi funzionali da ottimizzare per il mondo delle relazioni. Gli stati della meditazione sono sempre considerati unitari; e sono diretti verso scopi ‘assoluti’, nel senso di sciolti dalle relazioni.

Quali sono questi scopi? In termini generali certi stati (tra cui il benessere, il silenzio, la centratura, la lucidità mentale) sono strumentali per slanciare l’attenzione in modo efficace verso le nostre perplessità: ‘cosa è tutta l’esperienza cosciente? Cosa sono io?’. Grazie ai suoi metodi, la meditazione crea l’ambiente interiore adatto a vivere in prima persona l’esperienza centrale e indubitabile dello star essendo coscienti e senzienti. In questo senso lo spirito della meditazione non è terapeutico ma conoscitivo, più simile a quello degli studi sui ‘momenti di esperienza’ e sugli ‘effetti nel breve termine’ di cui abbiamo parlato sopra.

Apriamo un breve inciso, per chiederci: cosa serve tornare con la meditazione a un centro indubitabile e dedicarsi a vivere ‘tutta l’esperienza cosciente’?

Il fine non è (solo) concentrasi su un unico oggetto mentale, e neppure analizzare e portare a coscienza i meccanismi che ci fanno soffrire per portare sollievo. La meditazione può scoprire un perno dal quale affrontare la sofferenza esistenziale intrinseca alla condizione umana. Una sofferenza che nasce dal sentire di essere ‘gettati’ nell’esistenza senza una ragione e uno scopo, che prende tutto noi stessi e che si esprime con disagio e angoscia, e in taluni casi con domande come ‘che senso ha tutto questo? Perchè?’. È  una sofferenza profonda ma che possiamo ancora chiamare ‘mancanza di benessere’.

La domanda è sempre ‘perché soffro?’. La meditazione rinuncia a descrivere la risposta, rinuncia a teorizzare un sistema di verità metafisiche o precetti etici che se osservati conducano alla felicità. Propone invece di partire – secondo la radicata attitudine orientale alla concretezza fenomenologica – da una prassi di analisi della sofferenza e di focalizzazione sul centro del nostro sapere e sentire.

La sofferenza nasce da un senso di svuotamento, dal conseguente desiderio di sollievo, dall’ottenimento che ci dà pienezza e poi dal ritrovarci di nuovo senza nulla in mano: così almeno è stato efficacemente descritto dalla tradizione del Buddhismo. Ogni volta che ci affidiamo a un ottenimento – fosse anche uno stato di benessere, felicità, quiete – tendiamo a considerarlo qualcosa di stabile e duraturo, dotato di una “natura intrinseca e propria”, per cui ci attacchiamo ad esso.  Appena ci viene tolto, e questo accade sempre,  il benessere del sollievo si infrange e soffriamo perché siamo di nuovo nella mancanza, da cui sorge di nuovo la spinta a cercare sollievo.

La meditazione è una via che sostiene nell’affrontare questa sofferenza. Sostiene offrendo  il silenzio del corpo e la sospensione della mente. Permettendo di ripulire lo sguardo dell’attenzione. Fornendo l’indicazione di un centro di coscienza-sentire in atto, situato e vissuto dentro di sé,  e la forza per sondarlo. Contrariamente a diverse vulgata, la meditazione non è un distacco, ma una via che apre a un senso di profondo accoglimento senza condizioni, di lasciare la presa. Ma soprattutto è una possibilità di estendere il senso di bene-essere, che non sono i qualia di sollievi momentanei ma ciò che permette l’accesso al vero, secondo l’identità che già i Greci tracciarono tra Bene e Verità.

Distinguere tra sensazioni (qualia) e sentire (coscienza) è quindi importante anche dal punto di vista della ricerca scientifica. In termini pratici infatti, se questa distinzione è chiara può nascere una vera complementarità tra terapia e ricerca sulla coscienza: la prima può creare le migliori condizioni; la seconda può esplorare, intuire, leggere i significati e di nuovo cercare il meglio.

Il fuoco del nostro lavoro si sposterà ora proprio su quelle ricerche che utilizzano gli ‘effetti a breve termine’ della meditazione. Ultimamente diversi neuroscienziati e filosofi sono tornati a porre l’accento sulla fenomenologia pratica, sulla trasmissione di procedure di osservazione e descrizione interiore che possano entrare nei laboratori di neuro-immagini. Le metodiche delle fenomenologie asiatiche di pratica meditativa sono state studiate e adattate7. Neuroscienze e fenomenologia si stanno in questi anni fertilizzando a vicenda con idee nuove e stimolanti, una delle quali è che la mente che sente è il frutto di una continua co-produzione, l’emersione da una rete di relazioni piuttosto che da un cervello.

Non perdete la prossima puntata: la mente che sente non è ‘qualcosa’!

 

Riferimenti bibliografici

1 Libet B. (2007) Mind Time. Il fattore temporale nella coscienza, Ed. Cortina

Rodriguez E, George N, Lachaux JP, Martinerie J, Renault B, Varela FJ (1999), Pereception’s shadow: long distance synchronization of human barin activity Nature. 1999 Feb 4;397(6718):391, 393.

3 Sheth B.R., Sandkühler S., and Bhattacharya J. (2009), Posterior Beta and Anterior Gamma Oscillations Predict Cognitive Insight, Journal of Cognitive Neurosciences, July 2009, Vol. 21, No. 7, Pages 1269-1279.

4 Davidson R.J., Kabat-Zinn J., Schumacher J., Rosenkranz M. et al. (2003) Alterations in Brain and Immune Function Produced by Mindfulness Meditation,  Psychosomatic Medicine 65:564-570

5 Siegel  D.J. (2009), Mindfulness e cervello, Cortina.

6 Dalai Lama, D. Goleman (2003), Emozioni distruttive, Mondadori, pp.407-411

7 Varela F.J., Shear J. (eds.) (1999), The Wiew from Within. First-person approaches to the study of consciousness, special issue “Journal of Consciousness Studies”, 6, n. 2-3, Imprint Academic, Thorverton.

7 Depraz N., Varela F.J., Vermersch P. (2003), On Becoming Aware. A pragmatics of experiencing, Benjamin Publishers, Amsterdam/Philadelphia.

7  Hut. P.(1998), Exploring Actuality through Experiment and Experience,  atti del III convegno Towards a Science of Consciousness, Tucson, in www.sns.ias.edu/~piet/publ/TucsonIII/tucsonIII.html.

 

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