Ne abbiamo avuto l’esperienza ma ci è sfuggito il significato
E avvicinarci al significato ci restituisce l’esperienza
In una forma differente, al di là di ogni significato.
(T.E. Eliott, da Quattro Quartetti)

 

Phi.mind 14. Orizzonte storico e culturale da cui è sorto il problema dei qualia. Ideo-logie e senso-logie. L’esperienza del sentire estraniato di Ernst Mach e l’alienazione del soggetto.

I qualia sono stati uno strumento utilizzato da molti filosofi della mente anti-riduzionisti per tracciare un limite al progetto di riportare tutta la mente umana alla sua base materiale o funzionale. Sono sensazioni ‘già sentite’ dalla natura sfuggente, accessibili solo in prima persona e che la scienza tratta ancora con difficoltà.

Tuttavia spiegare i qualia è diventato un tema di grande attualità ed è interessante porci alcune domande al riguardo: (1) quale processo ha permesso che i qualia ‘già sentiti’ facessero il loro ingresso nelle scienze cognitive e fossero riconosciuti come un tema ineludibile – a parte poche eccezioni tra le quali Daniel C. Dennett? (2) Quali condizioni storiche e culturali hanno reso possibile quel processo? (3) In che modo il problema dei qualia invece di riavvicinarsi al sentire cosciente rischia di alienarci da esso?

Per iniziare a rispondere alla prima domanda, osserviamo come le scienze della mente dalla loro nascita hanno attivato un processo di graduale oggettivazione della dimensione soggettiva, prima nella sfera dell’azione, poi del pensiero, e oggi del sentire. Il processo di oggettivazione crea una distanza dal fenomeno vivente e lo rende indagabile, controllabile e replicabile.

Di fatto la scienza della mente si è concentrata dapprima sullo studio delle azioni (comportamentismo, fino alle odierne neuroscienze dei micro-comportamenti cerebrali), poi allo studio delle funzioni di pensiero (funzionalismo, fino allo sviluppo dei computer e al connessionismo delle reti neurali) e oggi esplora le possibilità del sentire (anti-riduzionismo dei qualia, fino alle menti in-corpate e forse in futuro a macchine senzienti). Ogni volta i fenomeni mentali, per diventare oggetti scientifici, hanno dovuto cedere qualcosa della loro natura vivente e venire fissati in modelli stabili: per l’azione, in trame di attivazioni motorie e percettive; per il pensiero, in schemi logici e funzioni cognitive; per il sentire, il sentire vivente è stato fissato in qualia già sentiti e determinati (la pipistrellità, la rossità, etc.)[1], che, anche se sono accessibili solo in prima persona, fissano e tradiscono sottilmente il vissuto fenomenologico del sentire situato e in-atto.

Quali condizioni hanno reso possibile questo ingresso? Certamente non solo la volontà di trovare argomenti contro i riduzionisti della coscienza. Per concederci una breve digressione in campo storico e sociale, l’ingresso dei qualia nelle scienze cognitive corrisponde a una generale ‘messa in potenza’ del sentire nella storia contemporanea – come sostiene il filosofo italiano Mario Perniola. Per diventare potente ed efficace sul mondo, in generale il sentire vivente è stato racchiuso in rappresentazioni. Mediante una forte esposizione ed esibizione sui mezzi di comunicazione si è trasformato da elemento privato a forme e schemi ben riconoscibili che possono essere assunti e ripetuti collettivamente.

Una conseguenza di questa ‘messa in potenza’ del sentire è che, come una volta ci si affidava alle ideologie, oggi ci si affida alle senso-logie, a questi repertori di affezioni, qualia ed emozioni ‘già sentite’ e ricalcate. Ne sono un esempio gli atteggiamenti cinici e post-moralisti, i fondamentalismi religiosi, la passione per le performance tecniche, le risate/litigi/indignazioni televisive, lo spiritualismo new age, etc.. Non che abbiamo rinunciato al sentire, i qualia restano fatti in prima persona, ma lo abbiamo reso un fenomeno esterno, ben riconoscibile da noi stessi e dagli altri. Abbiamo trasformato il sentire interiore e singolare in un ‘già sentito’, che come un’ideologia del ‘già pensato’ ha in sé la grande forza dell’impersonalità e dello schematismo.

In questo contesto, per venire alla terza domanda, il rischio che il ‘problema difficile dei qualia‘ possa oscurare la coscienza senziente dirigendo il problema sul ‘già sentito’ assume carattere non solo scientifico (Phi-mind 12 e 13) ma umano: è il rischio – paradossale – che il processo di oggettivazione ed esternalizzazione del sentire occulti per sempre la posizione della prima persona. Infatti sia i qualia che i repertori di sensazioni ‘già sentite’ delle senso-logie sono frammenti di sentire anonimo, estraniato di fatto dalla posizione situata della prima persona.

(Non stupisce quindi che viviamo in generale una forte difficoltà a riconoscerci nel nostro sentire e a dargli fiducia, poiché lo intendiamo come ‘l’effetto che fa’ vivere un certo stato – spesso illusorio o temporaneo – privo di un perno iniziale nel ‘me stesso’).

Ernst MachUn precursore di questi ‘qualia senza soggetto’ è stato lo scienziato e filosofo viennese di inizio Novecento Ernst Mach. Egli aveva del mondo una visione radicalmente empirica ed esperienziale: i corpi sono costituiti da aggregati di sensazioni, di seguito ordinati attraverso concetti psichici o rapporti matematici. Per Mach la natura della realtà è un “monismo di elementi percettivi” che possono essere letti in termini psicologici e allora risultano più incostanti e provvisori, oppure letti in modo più stabile dalle scienze fisiche secondo precise dipendenze funzionali tra le sensazioni.

Gli aggregati di sensazioni sono quindi certamente esperiti in prima persona, ma non appartengono a una coscienza in prima persona poiché ‘io’ è solo un concetto ausiliario: al pari di una teoria scientifica funge da strumento per organizzare le sensazioni. Come Mach è giunto a una visione così impersonale del sentire ‘già sentito’? Scrive Mario Perniola:

Per implicito riconoscimento delle stesso Mach, questa teoria affonda le radici in una esperienza di estraneità nei confronti di se stessi, in un ripetuto non riconoscersi, nel venir meno dell’identità personale.[2]

Ma – anche se non si trova alcun soggetto – l’esperienza e il sapere di essa ancora restano!

Da questa esperienza di estraneità sono possibili due sviluppi in direzioni diametralmente opposte: una verso l’esterno, che dona potenza agli aggregati di sensazioni (nella forma di qualia o di senso-logie) ma anche porta con sé smarrimento e alienazione; l’altra verso l’interno, senza cercarvi un soggetto unificatore (soggetto reso evanescente dal senso di estraneità ormai diffuso nelle vite di tutti) ma puntando verso la sorgente del sentire, immediata ed indubitabile, che di tutte le singole sensazioni ne sa e ne sente. L’istantaneità irripetibile della propria esperienza interiore non ferma il continuo movimento, l’apertura di possibilità, l’ebbrezza creativa (tutti elementi della potenza del sentire e del suo fascino) ma dona ad esse un centro. Centro che, lungi dall’essere il proprietario delle sensazioni, ne è piuttosto la condizione di possibilità, la dimensione che tutto accoglie e tutto genera. Ne parleremo diffusamente.

Prima di dedicarci alle ricerche su questo sentire iniziale, vedremo nel prossimo appuntamento come la ricerca scientifica si è accostata alla meditazione: vi troveremo un interessante esempio della confusione tra sentire e ‘già sentito’.

 

Riferimenti bibliografici

[1] Mario Perniola (1991), Del sentire, Einaudi, pp.35-36.

[2]Ibidem, p. 30

 

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