Ne abbiamo avuto l’esperienza ma ci è sfuggito il significato
E avvicinarci al significato ci restituisce l’esperienza
In una forma differente, al di là di ogni significato.
(T.E. Eliott, da Quattro Quartetti)

 

Phi.mind 13. Riprendendo la nostra tesi: distinguere tra qualia e sentire significativo. Il ritorno della fenomenologia.

I qualia – può essere utile riprenderne una definizione – sono stati fenomenici in 1° persona che hanno caratteristiche qualitative proprie e immediate: ciò che si prova a vedere rosso, soffrire, sperare. Questi sono i fenomeni colti da quello che chiameremo il “sentire”, la capacità che rende possibile cogliere i qualia. Abbiamo parlato della importanza – per studiare la coscienza – di focalizzarci non tanto su queste specifiche sensazioni qualitative, ma piuttosto sul sentire – l’atto iniziale, non fissabile in una sensazione specifica, che fa da matrice a tutte le sensazioni.

Cosa è il sentire iniziale? Capita più spesso di quanto crediamo: ad esempio nei momenti spontanei di smarrimento, di sospensione, di estraniazione. Spesso ad essi segue un lampo intuitivo, creativo. Appena prima, nel momento della sospensione, siamo aperti come voragine senziente, sconcertata.

L’intensità suscitata dal sentire ‘nudo’ lo rende inquietante. A parte alcuni disordinati artisti, siamo per lo più incapaci di frequentare questa dimensione. In particolare spesso i filosofi, anche quelli anti-riduzionisti, pur occupandosi della coscienza, sono straordinariamente freddi e privi di perplessità.

In realtà, come abbiamo sostenuto (Phi.mind 12) i qualia non sono il sentire, ma una sua determinazione successiva: sono i cangianti contenuti di questo dato primo soggettivo che è lo star sentendo in cui ne va di me (senza per questo mai elevare “me” a un soggetto idealista), l’aprirsi in atto mai disgiunto dalla sensazione ma non riducibile ad essa.

Lo “star-sentendo” non ha a che fare con le rappresentazioni o i concetti, né con la percezione dei qualia, né con l’emotività. Lo chiameremo “sentire significativo” perché, anche se non è legato ad alcun contenuto specifico, è immediatamente associato ad una significatività autonoma e non facilmente esprimibile.

Ma in concreto, come possiamo divenire consapevoli di dimensioni di sottofondo della nostra esperienza e fare distinzioni sottili, evitando le suggestioni?

Occorrono nuovi metodi e strumenti, non più limitati alla speculazione filosofica ma calati nella carne e nell’esperienza del singolo: nella sua fenomenologia. Abbiamo ormai lasciato l’astratta Filosofia della Mente anglo-americana e ci stiamo avvicinando alla dimensione “fenomenologica”, ai termini sentiti e carnali della prima persona.

Edmund HusserlCome abbiamo visto (Phi.mind 1) la Fenomenologia nacque – come la Filosofia della Mente – per reagire all’Introspezionismo ottocentesco e alla sua vaghezza. Edmund Husserl, il suo fondatore, propose un metodo preciso, la “riduzione fenomenologica” (che non è da confondere con la “riduzione empirica”, quella che i filosofi anti-riduzionisti criticano e che riduce i fenomeni mentali a prodotti del cervello). È un metodo per ridurre il fenomeno alla sua essenza esperita, a ciò che di esso resta quando abbiamo tolto tutto il superfluo. Il ricercatore pone allora “tra parentesi” e sospende le rappresentazioni, i giudizi, le informazioni, le relazioni con il mondo empirico: ferma la mente e il suo incessante chiacchierare e cercare spiegazioni. Resta con l’esperienza in sé. In una seconda fase poi, il ricercatore lascia l’esperienza specifica e ne estrae un significato essenziale che possa avere valore universale ed essere condiviso da tutti.

Per evitare ora di cadere nella Fenomenologia teorica, occorre cercare di viverla e sentirla piuttosto che studiarla. Spesso la Fenomenologia come disciplina accademica si è cristallizzata nello studio dei testi e delle descrizioni dei grandi filosofi; per questo si crea talvolta una impasse a causa dell’enfasi posta sull’analisi e la descrizione di dati fenomenici “già sentiti” piuttosto che sulla riduzione fenomenologica realmente condotta e sul sentire/sapere immediato e originario cui essa apre.

Questo sentire immediato, sorgivo, significativo è il protagonista di questa seconda parte di appuntamenti di Phi.mind. Perché nelle scienze cognitive più avanzate è diventato un tema centrale ed ha riproposto il problema dei qualia in modo del tutto nuovo. Non più “cosa è ciò che si prova a…?”, ma “cosa rende possibile provare qualcosa?”. Non più un problema di definizioni e traduzioni, di contenuti e qualità, ma un interrogare l’esperienza diretta del sentire e i suoi significati.

Prima di andare oltre, verso le proposte di questa “nuova fenomenologia”, vogliamo dedicare un paio di appuntamenti per chiarire al meglio la distinzione tra qualia e coscienza, tra “già sentito” e “star sentendo”. Nel prossimo indagheremo le cause storiche che hanno permesso ai qualia di diventare un tema nelle scienze cognitive, e i rischi che il “già-sentito” comporta non solo per la ricerca scientifica ma in generale per la percezione che l’uomo ha si sé.

In quello successivo esamineremo una sensazione “già sentita” e già codificata nella nostra cultura come il quale del benessere, “ciò che si prova a star bene”. Di fatto, le discipline meditative oggi sono molto studiate per la loro capacita di favorire questo stato fenomenico. Ma è questo il fine di queste antichissime vie di addestramento della mente?

 

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